Lazio: LAVORO, IL 39,2% GIOVANI ROMANI DIPENDE DA FAMIGLIA

Il 39,2% dei giovani romani dipende totalmente dal punto di vista economico dalla famiglia di origine, solo il 22,6% è completamente indipendente, mentre il 38,2% si dichiara solo parzialmente indipendente. Entrando più nello specifico si evidenzia che tra gli occupati full-time solo il 46,3% afferma di essere economicamente autonomo, mentre la condizione di semi-dipendenza riguarda ben il 42,8% dei giovani che lavorano. Ovviamente l'indipendenza economica è una condizione maggiormente frequente tra gli over 30 (42,4%). In questa fascia d'età si trova anche un 40% di giovani non ancora emancipatisi dal supporto economico della famiglia. In una grande metropoli come Roma una condizione piuttosto comune è quella degli studenti lavoratori che riguarda il 16% del campione, invece i diplomati che non studiano e non lavorano, gruppo riconducibile alla condizione di Neet, sono il 7,7%.
È quanto emerge dalla ricerca statistica "lavORO…nonostante tutto, indagine sui giovani romani tra aspirazioni e realtà" realizzata dalle ACLI Provinciali di Roma con la collaborazione dell'Iref, l'ente di ricerca delle ACLI nazionali, nell'ambito di "Generare Futuro", un progetto promosso dalla ATS, costituita dal Forum delle Associazioni Familiari e dalle ACLI Provinciali di Roma, e sostenuto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale.
Il focus, realizzato su un campione di 1058 ragazzi, tra i 18 anni e i 35 anni, accende inoltre i riflettori su due temi che di solito finiscono in secondo piano quando si analizza il rapporto delle nuove generazioni con il lavoro. Il primo riguarda la contrapposizione tra mestieri e professioni, domandandosi se lavoro manuale e lavoro intellettuale siano davvero in antitesi agli occhi dei giovani. Il secondo è la dimensione psico – sociale del lavoro, la percezione che hanno i giovani delle loro capacità di affrontare le difficoltà che incontrano durante la fase del primo inserimento lavorativo.
Dato molto interessante è che viene meno l'opposizione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale. Il 78,5% degli intervistati si è dichiarato molto o abbastanza d'accordo con l'affermazione "tutti i lavori hanno la stessa dignità" e quasi il 40% del campione afferma come oggi fare il contadino sia un lavoro come un altro e non un lavoro per chi non ha potuto studiare (10,6%) o un modo per evitare la disoccupazione (10%). Coerentemente, poi, il 50,2% del campione si dichiara disponibile ad imparare un lavoro manuale. I dati presentati infine offrono anche un altro spunto, oltre all'equivalenza tra lavoro manuale e intellettuale: il 39,6% degli intervistati è convinto che fare il contadino sia un modo per curare la natura e l'ambiente. La consistenza numerica di questa opinione suggerisce un legame con la già richiamata richiesta di senso che i giovani associano al lavoro.
Dal campione emerge che il 30,3% dei giovani romani, tra i 18 e i 35 anni, risulta essere inoccupato, il 28,6% lavora saltuariamente, il 41,2% dichiara di essere un lavoratore full-time.
La stabilità, data dalla continuità economica, risulta di gran lunga il bisogno principale per i giovani intervistati con il 46,1%. In seconda battuta si trova la gratificazione personale con il 37% delle preferenze; il dato in questo caso subisce l'influenza del genere (tra i giovani di sesso maschile è nettamente più basso: 25,8%) e dell'età (passa dal 23,7% tra gli under 20 al 44,1% tra i trentenni). Il successo invece è un bisogno espresso più dagli uomini (20,4% Vs. 10,7% sul totale del campione), soprattutto se molto giovani (28,4% nella classe di età 18-19 anni).
L'atteggiamento dei giovani nei confronti del lavoro in deroga è di sostanziale accettazione: la consapevolezza che nella propria carriera lavorativa si sarà costretti ad accettare condizioni di impiego penalizzanti rispetto agli altri lavoratori è quasi data per scontata. In tale contesto rispetto al mantenimento dell'occupazione, 6 intervistati su 10 sarebbero disposti a derogare sui tempi e sugli spazi, lavorando fuori orario, da casa, nei week-end. Tale percentuale è simile anche rispetto alla dimensione del perseguimento del proprio progetto professionale (58,2%).
In quest' area il genere marca una differenza significativa: considerando il livello alto dell'indice sulla disponibilità alla sotto-occupazione, tra donne (58,8%) e uomini (48,8%) ci sono 10 punti percentuali di differenza. L'analisi mostra che la disponibilità delle donne alla sotto-occupazione è un atteggiamento che si sviluppa a seguito dell'esperienza con il mercato del lavoro e interessa maggiormente quelle in possesso di un titolo di studio superiore.
Il confronto per classi di età evidenzia invece che i giovani-adulti sono maggiormente disposti a forme di sotto-occupazione: tra gli under20 (41,3%) e gli over30 (63,9%) ci sono oltre 20 punti percentuali di differenza (sempre considerando la modalità alta dell'indice). Il titolo di studio conseguito non evidenzia correlazioni significative. Al contrario, la condizione lavorativa evidenzia una maggiore disponibilità da parte degli occupati (60,7%) rispetto ai disoccupati (50,2%).
Dalla Ricerca emerge che le pressioni provenienti dal mercato del lavoro possono essere sopportate facendo ricorso alle proprie capacità di gestire dal punto di vista emotivo, cognitivo e comportamentale le diverse situazioni che si è costretti a fronteggiare durante il percorso di inserimento lavorativo.

I risultati mettono in evidenza che, in generale, gli intervistati esprimono una auto-percezione fortemente positiva poiché tutti e dieci gli item hanno percentuali superiori al 75%, con punte del 96%. Più nel dettaglio, le percezioni maggiormente positive riguardano la sotto-dimensione relazionale (chiedere consigli a chi ha più esperienza e lavorare con persone nuove: rispettivamente 96% e 93% di risposte positive); dati elevati si riscontrano anche rispetto alla componente cognitiva (comprendere le informazioni trovate e cercare le informazioni che servono: 95% e 93%). Meno omogenee seppure ampiamente positive sono le percezioni riguardanti la capacità di gestire gli insuccessi (affrontare i normali fallimenti e considerare i fallimenti come una sfida): 89,8% e 80,6%.
«Il quadro che emerge da questa ricerca – dichiara Lidia Borzì, presidente delle ACLI di Roma e provincia – elaborata in collaborazione con l'IREF, Istituto di Ricerca delle ACLI, è molto preoccupante, ma allo stesso tempo ci lascia semi di speranza. Perché, malgrado le grandi difficoltà che incontrano, i giovani sono i primi a non arrendersi, a volersi rimboccare le maniche e a credere fortemente in loro stessi, e quindi tutta la comunità educante, Istituzioni, Scuola, Chiesa e Società Civile, non si può esimere dal mettersi in rete e lavorare in maniera corresponsabile, affinché si possa garantire un futuro certo e stabile».
«Sappiamo – continua Borzì – che non è facile muoversi in una grande metropoli come Roma, dove il costo della vita è elevato, soprattutto per quanto riguarda i prezzi delle case e degli affitti. Ma sapere che 4 ragazzi su 5, alcuni anche lavorando full-time, non riescono ad affrancarsi dalla famiglia, deve far nascere una profonda riflessione e impegnare la politica a mettere il binomio giovani e lavoro in cima alle priorità di tutto il Paese. Come ACLI di Roma ci stiamo muovendo su questa direttrice, raccogliendo non solo dati ma soprattutto storie, per fornire risposte, partendo dall'ascolto dei loro bisogni, e portare poi speranza attraverso i nostri progetti. Come il Cantiere Generiamo Lavoro, che mette in rete significative organizzazioni che si riconoscono nei valori della Dottrina Sociale della Chiesa, per avvicinare i giovani al mondo del lavoro, offrendogli strumenti concreti. Il prossimo passo che faremo sarà coinvolgere anche agli imprenditori, per capire quali sono le loro esigenze e creare un vero punto di contatto fra chi il lavoro lo cerca e chi lo offre».